Tutti i trucchi per riconoscere il pesce fresco | Altroconsumo

2022-08-12 18:54:28 By : Mr. Abel Yang

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Sei sicuro di sapere come riconoscere se il pesce è davvero "di giornata"? Ecco qualche consiglio che ti aiuta a capire come distinguere quello fresco e a cosa fare attenzione prima di acquistarlo.

Come riconoscere se il branzino che stai per acquistare è fresco? Quali segnali è bene osservare per acquistare un'orata appena pescata? Ecco a cosa fare attenzione per portarti a casa un prodotto fresco e genuino.

Se il pesce è fresco o no, è possibile capirlo dalle parti del suo corpo. L'occhio, le branchie, la pelle, le squame, il peritoneo, la colonna vertebrale e la carne possono lanciare dei segnali che, colti durante l'acquisto del pesce o quando lo prepari a casa, possono aiutarti a distinguere quello fresco da quello che ha già trascorso qualche giorno sul banco della pescheria. Ma come interpretarli?

Quando il pesce non è fresco:

Ma oltre alla freschezza, elemento indispensabile per la qualità e la sicurezza del pesce, quali sono gli altri fattori da considerare per un consumo senza rischi per la nostra salute? 

Nel pesce, il basso contenuto di tessuto connettivo, l’elevato ph post-mortem e la presenza di composti azotati non proteici, favoriscono la formazione di ammine biogene come l’istamina, sostanza che deriva dalla degradazione dell’istidina - amminoacido essenziale per il nostro organismo. Questo accade ad esempio nel caso di alcune specie di pesci, come tonno, sgombro, alici, costardella, lampuga e sardina, ricchi appunto di istidina. Dal momento in cui vengono pescati, questi pesci devono necessariamente essere sottoposti alle corrette temperature di conservazione per scongiurare la rapida formazione di istamina.

Ma come riconoscere livelli elevati di istamina? Non è affatto semplice perché l’istamina nel pesce è inodore e dopo essersi formata all’interno dei tessuti rimane stabile sia ad alte che a basse temperature rendendo difficile ridurne il livello in modo significativo con la cottura o con il congelamento: per questo motivo è fondamentale che il pesce venga conservato da subito rispettando la catena del freddo.

Infine, il problema non riguarda solamente il pesce fresco ma coinvolge anche i pesci in scatola, come il tonno o lo sgombro e i prodotti affumicati, sotto sale o fermentati: dosi elevate di istamina possono provocare intossicazioni serie e, addirittura, lo shock anafilattico.

Le specie di parassiti che appartengono al genere Anisakis e Pseudoterranova, facenti parte della famiglia Anisakidae, sono estremamente pericolosi per l’uomo e si si sviluppano nel ventre del pesce, restando vivi e vitali nel pesce crudo, poco cotto, o affumicato.

Sono molti i pesci a rischio Anisakis perché questo tipo di parassita si adatta alla perfezione, in particolar modo se sussistono le condizioni termiche ottimali che gli consentono di stabilirsi nell'ospite. Il rischio diminuisce nei pesci che sono stati già eviscerati.

Ma quali i reali rischi per la salute nell’uomo? Nel caso in cui la larva del parassita penetrasse nella mucosa gastrica o intestinale, potrebbe provocare dolori addominali, nausea, vomito con febbre occasionale e la formazione di ascessi e granulomi.

Come scongiurare questo pericolo? La cottura uccide i parassiti: il consumo di qualunque pesce cotto non comporta, dunque, rischi.  Per quanto riguarda il consumo di pesce crudo, ci pensa la legge: secondo la legge, infatti, i prodotti ittici da consumare crudi devono essere prima congelati ad una temperatura di -20°C in ogni parte del corpo per almeno 24 ore, procedimento che si ottiene grazie agli abbattitori di cui devono essere forniti tutti i ristoranti che servono pesce crudo. Per poter consumare preparazioni a base di pesce crudo a casa, invece, se non si è provvisti di abbattitore, sarà necessario congelarlo in un freezer di almeno 3 stelle a -18°C per 96 ore per poi scongelarlo, avendo l’accortezza di metterlo nel frigorifero a 0-4°C fino a che non avrà raggiunto questa temperatura.

Altro elemento di cui si parla molto quando si tratta di salute legata alla nutrizione è il mercurio, metallo pesante che si trova in grande quantità nei fondali marini delle acque inquinate e che generalmente si accumula, sotto forma di metilmercurio, altamente solubile e biodisponibile, nei pesci di grossa taglia come lucci, marlin, palombi, smerigli, spada, tonni e verdesche e nei predatori che popolano tali fondali.

Ma che cosa accade se ingeriamo mercurio mangiando pesce che lo contiene? Il mercurio si lega con l’ossigeno e, conseguentemente con i globuli rossi e, attraverso il sangue viene portato in giro per il nostro corpo depositandosi nei tessuti del sistema nervoso e linfatico in particolare.

Limitare il consumo di pesce con alta concentrazione di mercurio, mettendolo in tavola una volta a settimana, sarebbe l’ideale, alternando la dieta con pesci che invece subiscono meno la contaminazione di questo metallo pesante come sardine, sgombri, branzini, orate, sogliole, trote, salmoni. E il tonno in scatola? Solitamente si può consumare con maggior tranquillità perché viene realizzato con tonni di piccola taglia e quindi con un minor contenuto di mercurio.

Naturalmente, alle donne in gravidanza e ai bambini non si consiglia di mangiare pesce con alto contenuto di mercurio ma di evitarlo del tutto.

Non solo istamina, anisakis e mercurio: ci sono molti batteri patogeni, come Salmonella, Clostridium perfrigens, Bacillus cereus, che sono presenti nei pesci che popolano i nostri mari. Tra gli altri, da temere c’è sicuramente Listeria monocytogenes, batterio che non è in grado di resistere al calore e che diventa innocuo cuocendo gli alimenti ad alte temperature. Si trova nel pesce ma anche in altri alimenti come la carne, le conserve, i prodotti affumicati, il latte non pastorizzato e in alcuni derivati come formaggi freschi e poco stagionati.

Quali danni alla salute può provocare tale batterio? Le persone colpite possono presentare una sintomatologia lieve che consiste in disturbi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea ma possono presentarsi casi più seri, soprattutto se ad essere colpiti sono soggetti anziani, neonati, immunodepressi o future mamme: meningiti, aborti o morte in utero sono tra le conseguenze più gravi.

Per evitare i disturbi gastrointestinali causati da questi microrganismi, molto importante è quindi scegliere sempre pesce fresco, separandolo dagli altri alimenti mentre lo si prepara, per evitare contaminazioni, per poi cuocerlo ad una temperatura che non sia inferiore ai 70°.

Meglio evitare anche il consumo di  pesce crudo se non si è sicuri delle condizioni igieniche in cui è preparato. Lo stesso vale per il pesce cotto da consumare freddo, come insalate di pesce, pesce marinato o in salse o simili: se al ristorante, ad esempio, questi piatti sono conservati a  temperatura ambiente, meglio evitarli.

Infine, per scongiurare brutte sorprese che potrebbero essere molto pericolose per la nostra salute, è bene tenere presente alcuni comportamenti da adottare quando si desidera consumare un pasto a base di pesce:

"Vivi e vitali": è così che, per legge, dovrebbero essere venduti tutti i molluschi bivalvi (cozze, vongole, fasolari, ostriche e così via). In generale, i molluschi hanno una vitalità variabile, che dipende sia dalle modalità di conservazione (preferibilmente sotto i 6° C), sia dalle caratteristiche della specie. Per esempio, frutti di mare con conchiglie che si chiudono perfettamente, come le ostriche, resistono vivi per un tempo dieci volte maggiore rispetto a quelli i cui margini della conchiglia non aderiscono perfettamente, come le capesante. Ecco alcuni consigli per capire la freschezza dei molluschi. Tieni presente, però, che per stare tranquilli ed eliminare la quasi totalità dei microrganismi pericolosi la cosa migliore è consumarli cotti.

Evitare del tutto il consumo di molluschi crudi è particolarmente raccomandabile. Vongole, cozze, capesante, ostriche... se non sono cotte possono provocare disturbi dovuti alla presenza di batteri o virus.

I molluschi vivono nell’acqua, che filtrano continuamente per trarne nutrimento. Se l’acqua è contaminata, i molluschi trattengono anche batteri e virus, concentrandoli al loro interno. Un’accurata cottura, uccidendo i microrganismi, elimina il rischio. Il consumo di molluschi crudi o malcotti, consentendo il trasferimento dei microrganismi direttamente all’interno del nostro corpo, comporta invece il rischio di disturbi di diversi tipi: in primo luogo quelli legati a batteri, come la salmonella e i vibrioni; in particolare è accertato che fu proprio il consumo di cozze crude a diffondere la famigerata epidemia di colera nel nostro Paese, nel 1973. Ma colera a parte, attraverso i molluschi consumati crudi si possono diffondere anche l’epatite virale di tipo A, un’infiammazione del fegato causata da un’infezione dovuta a un virus (HAV), e il norovirus, che provoca disturbi gastrointestinali anche gravi. Un altro rischio legato al consumo di molluschi è quello dovuto alle tossine provenienti da alcune alghe. Anche in questo caso, il problema è che i molluschi tendono a concentrare le tossine attraverso il continuo filtraggio dell’acqua. Le biotossine algali sono resistenti al calore e al congelamento, per cui è solo il controllo delle autorità sanitarie che può garantirne la sicurezza (ad esempio, se vi fosse la necessità, imponendo il divieto di pesca e di commercializzazione).

Per consumare molluschi in sicurezza, in primo luogo è bene acquistarli solo se si è ben certi della loro provenienza da allevamenti sicuri. Per legge, tutti i molluschi bivalve devono essere venduti vivi e vitali: il mollusco vivo risulta ben chiuso, oppone molta resistenza all’apertura e conserva al suo interno anche il liquido utile alla sua sopravvivenza; man mano che passano i giorni, tende ad aprirsi più facilmente, ma finché resta vitale si difende dagli stimoli esterni, cercando comunque di chiudersi. Stimolando il corpo del mollusco con succo di limone o con altre sollecitazioni, ad esempio la punta di una forchetta, si devono notare piccole reazioni (contrazioni). Meglio evitare di comprare molluschi con residui di fango, sabbia, alghe o che si trovano già immersi in acqua al momento dell’acquisto. Prima del consumo, i molluschi devono essere fatti aprire grazie al calore, in modo che possano essere ben cotti, qualsiasi sia la ricetta scelta. Se non si aprono al calore i molluschi non devono essere consumati.

Sono stati segnalati anche in Italia alcuni casi di disturbi provocati da diversi tipi di pesci tipici delle aree tropicali, consumati durante i viaggi in questi luoghi. Vediamoli.

L’intossicazione da Ciguatera è causata dall’ingestione di pesci contaminati da una serie di tossine, tra cui la ciguatossina, prodotte da alghe associate alla barriera corallina. I pesci a rischio sono predatori di circa 400 specie diverse (barracuda, pescechirurgo, delfino, tonno), che si contaminano ingerendo casualmente pesci erbivori che si sono nutriti di plancton tossico. I disturbi causati sono diarrea e vomito, ma anche dolori addominali, sapore metallico in bocca e sensazioni di pizzicore, prurito, alterazione della percezione del calore, ipotensione, vertigini, difficoltà respiratorie, dolori alle articolazioni e muscolari. Le tossine non determinano nel pesce contaminato alcuna alterazione evidente, né di sapore né di odore. Le tossine sono resistenti alla cottura, alla salamoia e al congelamento. L’unica prevenzione possibile è evitare il consumo dei pesci a rischio nelle zone interessate.

In Giappone è usato per la preparazione del Fugu Sashimi, un piatto tradizionale in cui il pesce palla è affettato sottilmente e decorato in modo da sembrare un crisantemo. Bisogna però essere cuochi molto esperti per prepararlo, evitando la contaminazione con una pericolosa tossina, che è naturalmente presente nel pesce. Tutto sommato, ne sconsigliamo il consumo.

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